la malattia venosa cronica degli arti inferiori
La Malattia Venosa Cronica (MVC) è una condizione morbosa che il medico di medicina generale incontra frequentemente nella sua pratica quotidiana
Nei paesi occidentali si stima che la prevalenza della MVC superi il 40% della popolazione adulta mentre in Africa, Asia ed Oceania la MVC è quasi completamente sconosciuta.
Nella popolazione italiana la sua frequenza viene stimata tra il 10 e il 33 per cento nelle donne e tra il 10 e il 20 per cento negli uomini.
L’evoluzione della MCV è accompagnata dalla comparsa di varici nel 5,2% delle donne e nel 3,9% degli uomini.
In Europa si stima che il 25% della popolazione è affetta in qualche modo dalla malattia varicosa, considerata nei suoi vari aspetti dalle teleangectasie alle varici per arrivare fino i all’ulcera varicosa.
I fattori di rischio per la patologia sono l’età, una storia familiare positiva per malattia venosa, la gravidanza, l’uso di anticoncezionali orali o di terapia sostitutiva in menopausa, episodi di pregresse trombosi alle venose superficiali e/o alle profonde, traumi agli arti inferiori, immobilizzazione forzata e postura eretta per lungo tempo.
Si tratta di una condizione morbosa che peggiora in maniera rilevante la qualità di vita dei pazienti per effetto di una sintomatologia fastidiosa, spesso dolorosa, talora invalidante, oltre che per gli inestetismi che può provocare e che rendono più difficile la vita sociale.
A livello degli arti inferiori il sistema venoso si compone di:
• un circolo superficiale (vena grande e piccola safena che drena 1/3 del sangue refluo;
• un circolo profondo (vene profonde della gamba (tibiale anteriore e posteriore, peroneale) e della coscia (poplitea, femorale profonda e femorale comune) che drena i 2/3 del sangue refluo.
I due sistemi venosi sono fra loro collegati grazie ad anastomosi create dalle vene perforanti (o comunicanti).
La piccola e la grande safena traggono origine dalle vene digitali dorsali e plantari; queste ultime costituiscono l’arcata venosa plantare ed una ricca rete anastomotica, denominata “suola plantare di Lejars”
Il ruolo principale della suola plantare è in realtà svolto dal cosiddetto Triangolo profondo della volta, la cui stimolazione, durante la deambulazione, determina una spremitura delle vene plantari verso i vasi venosi profondi e da qui in direzione centripeta verso il cuore.
Le vene profonde sono invece caratterizzate dal fatto di essere interne all’organismo e sono accompagnate da un arteria che condivide con loro, di solito, il nome.
Esse godono quindi sia dei benefici derivanti dalla vicinanza delle arterie (sostegno ritmico della pressione venosa grazie alla pulsazione arteriosa) che dei benefici ricavati dalla muscolatura che le circonda (spremitura delle pompe muscolari). Le vene profonde sono le vere responsabili del trasporto della maggior parte del sangue verso il cuore.
I circoli venosi profondo e superficiale non sono separati tra di loro, ma in comunicazione attraverso numerosi rami anastomotici perforanti che attraversano le fasce muscolari per collegare le vene profonde a quelle superficiali.
La comunicazione tra i due circoli è essenziale, in quanto il circolo superficiale si scarica nel circolo profondo per raggiungere il cuore. Si può dire che la presenza di due circolazioni distinte (superficiale e profonda) sia un espediente per facilitare il ritorno venoso contro la forza di gravità.
La parete venosa è costituita da 3 strati (dall’esterno verso l’interno):
Tunica avventizia (prevalentemente tessuto connettivo che serve da sostegno del vaso)
Tunica media (tessuto connettivo e muscolare in varia proporzione a seconda della grandezza della vena)
Intima (tessuto connettivo ed endotelio).
Un ruolo importante spetta alle valvole ossia da quelle strutture formate dall’intima a forma di semiluna che aggettandosi nel lume vasale hanno il fondamentale compito di impedire che per effetto della gravità il sangue refluisca verso il basso. Esse non offrono quindi ostacolo al ritorno venoso verso il cuore, ma si chiudono ermeticamente quando il sangue, per un ostacolo al deflusso o perché spinto dall’attrazione gravitazionale o da altre forze esterne al sistema venoso, tende a refluire verso il basso.
La distribuzione delle valvole non è uniforme nella circolazione venosa, ma la loro presenza maggiore o minore dipende da esigenze specifiche. In particolare, troviamo più valvole nei distretti venosi in cui il deflusso verso il cuore del sangue è reso più difficile da situazioni anatomiche o fisiologiche. Nelle vene degli arti inferiori, dove il flusso venoso è antigravitazionale, le valvole sono molte e rivestono un ruolo fondamentale.
Come può essere definita quindi la malattia venosa cronica?
La malattia venosa cronica è il risultato di una incontinenza venosa superficiale e/o profonda e/o delle vene perforanti che provoca un’insufficienza della pompa veno-muscolare, una stasi del sangue venoso in periferia con formazione di un edema ed un aumento delle pressioni venose sia a riposo che in movimento.
Fattori predisponenti sono la familiarità per varici, una vita sedentaria, il sovrappeso corporeo, la terapia estroprogestinica (pillola anticoncezionale) e la terapia ormonale sostitutiva in menopausa. Anche alcune abitudini lavorative, come lavorare in ambienti surriscaldati oppure troppo in piedi o troppo seduti, favoriscono l’insorgenza di un’insufficienza venosa.
L’insufficienza venosa provoca inevitabilmente un’ipertensione venosa , ossia un aumento della pressione del sangue nelle vene periferiche che non riescono più a svolgere il loro compito fisiologico.
Una volta instaurata, l’ipertensione venosa impedisce il normale ritorno del sangue venoso. Questo rallentamento porta ad uno stato di ipossia tissutale a livello microcircolatorio, dove le membrane vasali sono più delicate e dove avvengono gli scambi gassosi tra comparto arterioso e comparto venoso.
Inizia così un progressivo accumulo di anidride carbonica a livello microcircolatorio che provoca, col passare del tempo, la cronicizzazione della situazione. Si assiste ad una brusca caduta del pH e alla comparsa dei radicali liberi che provocano un danneggiamento delle membrane cellulari Quando le difese antiossidanti cellulari non sono in grado di contrastare l’azione del radicali dell’ossigeno si instaura nelle cellule un processo noto come stress ossidativo in seguito al quale le più importanti classi molecolari, acidi nucleici, proteine, lipidi, vengono danneggiate, con compromissione della funzionalità delle cellule. Sostanze ad attività antiossidante, come la vitamina E, l’ascorbato ed il glutatione, sono in grado di controllare e proteggere temporaneamente da questi danni. Con il protrarsi nel tempo della ipertensione venosa il danno a livello della membrana delle cellule dell’endotelio diviene irreversibile e prendono avvio tutta una serie di reazioni a carattere infiammatorio che conducono in ultimo ad una stasi linfatica ed a compromissione degli scambi gassosi a livello tessutale.
Oggi si dà molta importanza alla ipertensione venosa quale primum movens delle alterazioni flogistiche che si instaurano a carico delle valvole e della parete venosa e che rappresentano l’elemento fisiopatologico essenziale della malattia venosa cronica.
Il primo atteggiamento da assumere è quindi quello di ridurre il più possibile la frequenza e l’intensità delle situazioni in cui si produce ipertensione venosa, ridurre cioè le condizioni di rischio o potenzialmente peggiorative.
I fattori di rischio venoso si possono suddividere in modificabili e non modificabili.
Fanno parte del primo gruppo
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Obesità e sovrappeso
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Prolungata stazione eretta o seduta
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Esposizione a forti fonti di calore
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Appoggio plantare incongruo (piattismo equinismo o impiego di calzature con tacchi alti o troppo bassi)
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Sedentarietà
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Gravidanza, il trattamento estroprogestinico, il trattamento sostitutivo in menopausa
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Uso di indumenti troppo stretti
Fanno parte del secondo gruppo
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Familiarità
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Età
Un notevole aiuto in campo clinico è stato fornito dalla introduzione fin dagli anni 90 del ‘900 della classificazione CEAP basata sui quattro parametri (Clinico, Eziologico, Anatomico e Pato-fisiologico) della MCV; rappresenta uno strumento di particolare utilità nell’impiego clinico, consentendo di standardizzare la metodologia diagnostica, di ottimizzare ed uniformare la refertazione clinica e di trattare i diversi quadri che caratterizzano l’evoluzione della malattia, facilitando nel contempo la formulazione di una diagnosi uniforme con la possibilità di un confronto omogeneo e di una ripetibilità utile non solo nella valutazione dell’andamento della patologia nello stesso paziente ma anche nel permettere un corretto confronto tra diverse popolazioni di pazienti (J Vasc Surg . 2009 febbraio; 49 (2): 498-501).
Il quadro clinico iniziale della malattia è caratterizzato da un modesto gonfiore degli arti inferiori che compare nelle ore pomeridiane o serali, sensazione di peso alle caviglie quando si permane per molto tempo in posizione eretta, irrequietezza notturna, comparsa di piccole teleangectasie o di vene reticolari intradermiche le prime e subdermiche le seconde (Eur J Vasc Endovasc Surg . 2015 settembre; 50 (3): 360-7). Il loro diametro è inferiore ai 3 mm . Le donne sono più soggette a queste alterazioni, rispetto agli uomini, dal 56% al 71% secondo le varie casistiche.
La stasi venosa favorisce la formazione di dermatiti che è sono dei segni dermatologici più comuni e più precoci di insufficienza venosa cronica. La dermatite da stasi è un processo infiammatorio che si presenta come un’eruzione cutanea eczematosa caratterizzata da prurito, eritema, desquamazione, , erosioni e formazione di croste.
Il prurito associato alla pelle secca e squamosa può essere difficile da alleviare; spesso sono presenti escoriazioni da grattamento che possono secondariamente infettarsi.
Spesso come lesione iniziale compare la cosiddetta corona flebectasica un reticolo di capillari dilatati disposti a ventaglio al piede o alla caviglia. spesso indicatore clinico di ipertensione venosa secondaria. Una revisione clinica ha evidenziato che soggetti portatori della corona flebectasica avevano un rischio quadruplicato di sviluppare un quadro di insufficienza venosa cronica (J Vasc Surg . 2005 Dec;42(6):1163-8).
Le vene varicose, che rappresentano il passaggio successivo della malattia, sono vene superficiali che decorrono nel tessuto sottocutaneo dilatate, allungate, tortuose, di diametro ≥3 mm. Le vene varicose sono presenti nel 10-30% della popolazione generale, con percentuali crescenti negli individui più anziani. (Perrin, M. (2008). Insufficienza venosa cronica. EMC 13(4), 1–8).
Si osservano più frequentemente nelle donne rispetto agli uomini; tuttavia, a seconda della popolazione valutata possono colpire più frequentemente la popolazione maschile (Callam, M. J. (1994).British Journal of Surgery, 81(2), 167–173).

L’edema di lunga durata in questo paziente con MCV ha causato discromie cutanee (lipodermatosclerosi) mentre sulla caviglia dx si vede un’ ulcera. (freccia).
Nello stadio avanzato della malattia, il paziente presenta spesso un edema degli arti inferiori, inizialmente intorno alle caviglie, che regredisce solo parzialmente la notte, dolore intenso e persistente ai polpacci, arrossamenti delle zone interne delle caviglie, varici particolarmente dilatate. L’arto interessato è decisamente edematoso, caldo, dolente ed il paziente si lamenta per una pesantezza ed una stanchezza che compare dal primo pomeriggio in poi.
Frequenti a questo stadio sono le della pigmentazione che caratterizzano la lipodermatosclerosi (foto a destra) che identifica una lesione cutanea indurativa, sclerotica e iperpigmentata a carico di una gamba. E’ espressione di ripetuti stravasi di globuli rossi nel sottocutaneo indotti dalla stasi venosa, con successiva degradazione dell’emoglobina e formazione di emosiderina da cui il colore scuro che assume la pelle.
Evoluzione delle lesioni discromiche della lipodermatosclerosi è la cosiddetta atrofia bianca ossia lesioni biancastre leggermente depresse di variabile grandezza che con il tempo tendono a ingrandirsi ed a confluire tra di loro in chiazze irregolarmente delimitate nelle quali possono rimanere incluse isole di tessuto più o meno sano. Tali lesioni precedono la formazione delle ulcere che rappresentano caratteristicamente il passaggio successivo (Walsh, S. N., & Santa Cruz, D. J. (2010) Journal of the American Academy of Dermatology, 62(6), 1005–1012).

Grande ulcera venosa sulla caviglia mediale in un paziente con ipertensione venosa cronica. L’ulcera è superficiale con bordi irregolari e ricoperta da tessuto di granulazione.