le vitamine, i “fattori accessori” della alimentazione
C’è un uomo che porta sulle spalle una cesta imbottita con al suo interno tre neonati. Lo spazio è così ristretto che i neonati ricoperti alla meno peggio con fasciature di tessuto sporco sono messi in posizione verticale uno addossato all’altro. L’uomo si ferma solo per mangiare e far loro succhiare un pò di latte. Quando apre la cesta, spesso ne trova uno morto; imperterrito prosegue il suo cammino con gli altri due neonati impaziente di liberarsi del suo carico. Quando li ha lasciati all’ospedale, non si ferma e riprende il suo cammino perchè è con questo “lavoro” che si guadagna il pane.
Così scriveva il drammaturgo parigino Louis-Sébastien Mercier in Tableau de Paris Vol. 3 nel 1782. L’uomo è un “meneur” trafficante alla ricerca di bambini abbandonati che raccoglie e vende. Trasporta la sua merce all’Hôpital des Enfants Trouvés di Parigi. I suoi acquirenti? Suore dalle quali riceve in cambio del denaro.
Fino alla promulgazione delle nuove riforme del sistema di assistenza all’infanzia che avvenne nel 1801, in Francia era consuetudine per le Suore della Carità pagare per farsi affidare i bambini orfani o abbandonati. Più bambini avevano in custodia, maggiori erano le somme che potevano richiedere all’amministrazione comunale in cambio del loro atto caritatevole.
E’ un quadro che riflette la profonda crisi economica in cui versava la Francia della prima metà del XIX secolo, periodo di profondi cambiamenti e di importanti accadimenti sia in campo politico che sociale che ebbero come conseguenza un impoverimento delle classi meno abbienti tra cui quella contadina; molti lavoratori non potendo più sostenersi con quello che ricavavano dal lavoro della terra furono costretti ad abbandonare la campagna ed a riversarsi nei centri urbani con la speranza di ottenere condizioni di vita più sostenibile. Tra il 1801 ed 1851 la popolazione parigina raddoppiò passando da 500.000 ad oltre 1.000.000 di abitanti. A tutto questo afflusso di gente non fece seguito un adeguamento delle strutture di accoglienza e dei servizi primari. L’amministrazione cittadina non fu nemmeno in grado di creare adeguati posti di lavoro. Una delle conseguenze di questa situazione fu l’aumento considerevole del numero dei neonati che venivano abbandonati da giovani donne povere spesso neanche sposate che non avevano alcuna possibilità di mantenerli. All’inizio del XIX secolo a Parigi 1 bambino su 5 veniva abbandonato. Secondo un medico parigino dell’epoca l’alimentazione dei poveri era costituita da qualche crosta di pane comprata al mercato, biscotti militari venduti dai soldati della guarnigione, cotenne di maiale, carne di cavallo (chiamata “manzo dei poveri”), carne di gatto, a volte scarti di interiora dei macellai, ma più comunemente fagioli secchi e formaggio.
All’epoca il valore nutritivo degli alimenti veniva stabilito in base al loro contenuto in azoto. La gelatina, ottenuta principalmente da ossa e pellame bovino, con il suo alto contenuto in azoto, fu proposta come la soluzione economica più conveniente per soddisfare i bisogni nutrizionali delle persone povere e dei ricoverati negli ospedali. Jean-Pierre-Joseph d’Arcet illustre medico “nutrizionista” dell’epoca, scriveva nel 1824 che “la gelatina è talmente ricca in azoto da essere considerata cibo completo anche con poche proteine”. Ad una alimentazione a base di gelatina d’Arcet associava anche un elevato risparmio in termini di costi considerato che da 100 Kg di ossa che, ricordiamolo, erano un prodotto di scarto, secondo calcoli che riporta nel suo articolo Mémoire sur les os provenant…, si potevano ottenere 30 Kg di gelatina sufficienti per preparare 300 razioni di brodo.
Nella foto in alto viene riprodotto lo schema “dell’estrattore della gelatina”, macchinario ideato da d’Arcet costituito da una caldaia a carbone e da quattro cilindri posti in serie dai quali, attraverso un rubinetto, fuoriusciva la gelatina che si produceva per azione del vapore sulle ossa.
E’ possibile che per la costruzione del suo estrattore d’Arcet abbia preso spunto dal Digester, antenato delle pentole a pressione, ideato dal suo connazionale Denis Papin che nel 1681, circa 150 anni prima, lo descrive nel suo A new digester or engine for softening bones… .

Il “Digester” di Papin
Addirittura Papin fa riferimento alla gelatina che si poteva ottenere sottoponendo un osso al trattamento con la sua macchina, con la differenza che consigliava di utilizzarla non a scopo gastronomico bensì come trattamento per i vecchi cappelli: I have found that an old Hat, if imbibed with the Gelly of Bones, is become very firm and stiff … If such Gelly were used in making Hats, they would be extraordinary good.
Pur tra difficoltà e controversie legate soprattutto alle qualità nutritive della gelatina d’Arcet riuscì a produrre ed a far accettare la sua invenzione a molte strutture soprattutto ospedali, carceri ed istituzioni caritatevoli.
Tra i vari detrattori c’era Alfred Donné che appoggiandosi in particolare alla relazione dei medici dell’Hôtel-Dieu, sottolineò la scarsa qualità del brodo, la sua veloce deperibilità, il suo cattivo aspetto nonché il disgusto che ispirava non solo agli ammalati ma anche agli animali riferendosi ad un esperimento da lui condotto su un cane che dopo il primo assaggio della gelatina si rifiutò di continuare a cibarsene (Mémoire sur l’emploi de la gelatine…).
La questione assunse una tale importanza che l’Académie des sciences di Parigi decise nel 1831 di istituire una Commissione presieduta dal fisiologo Francois Magendie. Che fosse un argomento spinoso lo dimostrano i lunghi dieci anni che furono necessari agli esperti per esprimere la loro opinione.
Gli esperimenti condotti su più di cento cani nelle cantine del College de France condussero a risultati che la Commissione giudicò negativi; che fosse data pura, condita o accompagnata a vari alimenti, la gelatina non poteva essere considerata un alimento. In conclusione, la Commissione riteneva che, sebbene “la scienza sia ancora agli inizi in tutto ciò che riguarda la teoria sulla nutrizione“, si poteva legittimamente concludere che la gelatina estratta dalle ossa somministrata da sola o mescolata con altre sostanze non poteva prendere il posto di un alimento paragonabile alla carne (Rapport fait à l’Académie des science….).
Francois Magendie, presidente della Commissione, lo si ricorda soprattutto perchè è tra quelli che per primi posero l’attenzione sull’importanza di una corretta alimentazione per il benessere e la salute dell’intero organismo; così infatti si esprimeva nel 1816: Non è che la nutrizione sia stata trascurata dai fisiologi; al contrario, è stata spesso oggetto di congetture e supposizioni, talvolta molto ingegnose. Ma le nostre conoscenze in proposito sono ancora troppo imperfette, tanto che se non seguiamo passo passo quello che ci viene fornito dalle evidenze che ci arrivano dai nostri studi non possiamo non evitare di perderci. Quindi tutte le ipotesi che sono state fatte sull’alimentazione non sono altro che l’espressione della nostra attuale ignoranza in materia, e hanno unicamente lo scopo di soddisfare la nostra immaginazione ma nulla di più. Sarebbe quindi del tutto auspicabile arrivare ad ottenere dati certi sui processi che regolano il fenomeno della nutrizione tra i più importante presenti negli animali. La maggior parte delle malattie sembrano essere solo conseguenza di una sua alterazione, di conseguenza le scoperte che potrebbero essere fatte su questo argomento porterebbero non solo a progressi nella fisiologia, ma anche ad utili applicazioni in medicina ed è su questo a cui devono tendere le nostre fatiche.
Dovrà passare ancora del tempo se ancora nel 1854 Giuseppe Rizzetti nel Trattato popolare d’igiene privata e pubblica del 1854 ammettendo i limiti delle conoscenze umane nel campo della alimentazione così cercava di impostare le buone regole di una sana alimentazione: Essendo difficile determinare la quantità d’alimento necessaria in cadun pasto, si seguano i bisogni della natura e gl’impulsi della fame, non si ecceda, né si mangi meno del bisogno…….Non si giunga poi all’eccesso opposto: la troppa varietà di cibi finisce per nuocere forse di più dell’uso continuo di una specie d’alimenti…….è bene che sappiasi quali sono i principii nutrienti contenuti negli alimenti ai quali questi devono la loro proprietà di riparare le forze. Questi principii si dividono in immediati e semplici: fra gl’immediati v’hanno principalmente lo zuccaro, il glutine, la mucilagine, l’amido, l’albumina, la fibrina, l’osmazomo. Fra i semplici primeggia, e secondo alcuni l’unico è l’azoto; per il che gli alimenti più azotati sono anche i più nutrienti.
D’altro canto è da considerare che la seconda metà del XIX secolo la si ricorda soprattutto per le grandi scoperte nel campo della infettivologia e della convinzione che le malattie riconoscessero un origine da germi e virus, non per niente questo è il periodo delle grandi scoperte ad opera di Louis Pasteur di cui ricordiamo gli studi nel campo del vaccino antirabbico e di Robert Koch scopritore del batterio della tubercolosi. Quindi è facile pensare come lo studio della alimentazione come determinante di malattie non fosse nei pensieri della maggior parte degli studiosi.
In un lavoro del 1881 ( Über die Bedeutung der anorganischen Salze für die Ernährung des Thieres ) Nicolai Ivanovich Lunin un giovane dottorando che studiava chimica nel laboratorio di Gustav von Bunge in Estonia dimostrò che i topi adulti potevano vivere in buona salute se alimentati con solo latte ma non riuscivano a sopravvivere quando veniva modificata loro la dieta inserendo, al posto del latte, i suoi singoli componenti (proteine del latte, grasso del latte, zuccheri del latte etc). Nel pubblicare i suoi risultati, Lunin affermava che “I topi possono vivere abbastanza bene quando ricevono alimenti adatti (ad esempio latte), tuttavia, poiché gli esperimenti hanno dimostrato che non sono in grado di vivere solo di proteine, grassi, carboidrati e sali altre sostanze indispensabili per l’alimentazione devono essere presenti nel latte“.
E’ comunque in un posto remoto del mondo come le Indie Orientali Olandesi (l’odierna Indonesia) che vengono gettate le basi per la scoperta delle sostanze nutrienti essenziali la cui carenza oggi sappiamo essere alla base di patologie anche mortali.
Il primo ad interessarsi del valore nutritivo degli alimenti è Christiaan Eijkman giovane ricercatore che nel 1896, trovandosi di stanza a Batavia (odierna Giacarta), riferiva la comparsa di una forma di polineurite (i cui sintomi erano simili a quelli del beri-beri malattia molto diffusa in quelle zone soprattutto nella popolazione carceraria) in galline alimentate esclusivamente con riso bianco cioè privato della cuticola esterna (crusca) tramite un procedimento noto come brillatura. La decorticazione veniva impiegata per prolungare il periodo di conservazione dal momento che il riso integrale era soggetto a veloce deterioramento nelle zone caratterizzate da un clima caldo umido come erano quelle equatoriali delle Indie Orientali Olandesi.

Un pollo affetto da polineurite e sotto degenerazione dei nervi periferici al microscopio ottico (K. Carpenter).
Una volta sottoposte ad una alimentazione con riso integrale le galline riacquistavano velocemente la piena salute. Questi risultati portarono Eijkman ad inquadrare la polineurite (Polyneuritis bij hoenders) come conseguenza della alimentazione a base di riso bianco solo che erroneamente ne attribuì il motivo alla azione di una tossina, a suo dire, presente nella parte interna del chicco di riso che veniva però neutralizzata, in chi si alimentava con riso integrale, da una sostanza normalmente presente nella crusca. 
Costretto a tornare prematuramente in Olanda nel 1896 per il peggioramento delle sue condizioni di salute dovute ad una forma aggressiva di malaria le sue ricerche vengono continuate da Gerrit Grijns. Tra i due comunque non c’è un “passaggio di consegne” nel senso che Eijkman abbandonando Batavia porta via con sè tutto il materiale frutto dei suoi esperimenti cosicchè Grijns si ritrova a dover iniziare il lavoro senza conoscere i risultati a cui il suo collega era pervenuto. E questo fu senz’altro un bene visto che avrebbe potuto svolgere il suo lavoro senza falsi preconcetti. Iniziano quindi quattro anni di intenso lavoro al termine dei quali nel 1901 pubblica Over polyneuritis gallinarum in cui raccoglie le sue osservazione frutto di esperimenti compiuti su 240 uccelli che lo inducono ad ipotizzare che la polineurite dei polli fosse la conseguenza della mancanza di un componente vitale nella dieta: “Ci sono in vari alimenti sostanze, che non possono mancare senza arrecare gravi danni al sistema nervoso periferico”. Ipotizzando la presenza di questa sostanza aveva senza saperlo individuato la vitamina B1.
Anche lui fu costretto a tornare in Olanda per problemi di salute e quando fece ritorno a Batavia nel 1904 fu assegnato ad altri incarichi. Sfortunatamente i fondamentali contributi di Grijns rimasero per molti anni sconosciuti, molto probabilmente perché i suoi lavori furono pubblicati in olandese su una rivista locale. La ricerca di Grijns ottenne comunque un riconoscimento postumo quando i suoi colleghi fecero tradurre e pubblicare il suo lavoro in inglese nel 1935. Il governo olandese riconobbe tardivamente i contributi di Grijns nominandolo comandante dell’Ordine di Orange-Nassau. Rimase tuttavia la delusione per non aver ricevuto il riconoscimento andato invece ingiustamente a Eijkman al quale nel 1929 fu assegnato il premio Nobel per la medicina per i contributi resi “per la scoperta della vitamina antineuritica (B1)”

Grijns alla sua scrivania nel laboratorio di Batavia capitale all’epoca delle Indie orientali olandesi
Curiosamente gli archivi della Fondazione Nobel rivelano che Eijkman è stato candidato al Premio Nobel in nove anni diversi. E sia nel 1926, anno in cui fu isolata la vitamina B1, che nel 1927, fu nominato insieme a Grijns. Ma nel 1929, quando finalmente il premio andò alla ricerca sulle vitamine, il nome di Grijns non fu tra i nominati inspiegabilmente sostituito da quello di F.G. Hopkins i cui meriti in questo campo di ricerca sono stati sicuramente inferiori a quelli di Grijns. Nel suo discorso di ringraziamento Eijkman, pur nominando Grijns, non gli ha dato il merito che giustamente gli spettava.
Sempre nelle Indie Orientali nello stesso periodo in cui Grijns compiva i suoi esperimenti e senza che entrambi fossero a conoscenza delle rispettive ricerche, Adolphe Vorderman esercitava la funzione di medico delle colonie penali. Sappiamo che ebbe contatti e scambi di informazioni con Eikman e sicuramente furono i risultati ottenuti da quest’ultimo che lo spinsero ad approfondire le ricerche in questo campo. Il lavoro di Vorderman si ricorda soprattutto perchè per la prima volta vengono compiuti esperimenti sull’uomo utilizzando per di più una metodologia scientifica all’epoca non comune.
Nel 1897 pubblica Onderzoek naar het verband tusschen den aard der rijstvoeding in de gevangenissen op Java en Madoera… un lavoro di ricerca sulla causa del beri-beri presente tra i prigionieri di molte prigioni di quelle isole. Vorderman, come detto, era già a conoscenza delle ricerche effettuate da Eijkman ed ebbe quindi l’intuizione di verificare se il tipo di alimentazione potesse in qualche modo giustificare la presenza di questa malattia che era presente nelle carceri dove il riso bianco era usato come alimento principale, ma che al contrario non veniva riscontrata dove veniva distribuito il riso rosso.

Prigionieri sorvegliati da una guardia a Giacarta sull’isola di Giava
Decide quindi di scrivere una lettera a tutti i direttori delle carceri presenti a Giava e Madoera per essere messo a conoscenza del tipo di alimentazione e del numero dei casi di beri-beri presenti tra i detenuti. Avuta una conferma alle sue supposizioni decide, dopo aver ottenuto l’autorizzazione dal governo locale, di visionare direttamente le carceri presenti sul territorio indonesiano.

Vari tipi di riso con cui venivano alimentati i prigionieri nelle colonie penali delle Indie Orientali Olandesi (il riso bianco nel processo di raffinazione perde il suo contenuto di tiamina causando il beri-beri).
Dopo aver ispezionato 101 prigioni ebbe la conferma che il beri-beri era correlato ad una dieta a base di riso bianco dopo aver escluso un possibile rapporto con le condizioni igienico-sanitarie delle costruzioni adibite a prigioni, con la densità della popolazione carceraria e con la loro ubicazione geografica (entroterra o sulla costa). In particolare delle oltre 96.000 persone detenute negli istituti che utilizzavano riso per lo più integrale solo 9 presentavano sintomi riconducibili al beriberi (0,0009%). Degli oltre 150.000 detenuti presenti nelle prigioni in cui veniva distribuito vitto a base di riso bianco circa 4.200 (2,8%) avevano sviluppato il beri-beri.

Forma atrofica di beri-beri